“I noduli tiroidei si evidenziano alla palpazione nel 4-7% della popolazione, mentre l’ecografia riscontra noduli non palpabili nel 50-60% delle persone”. Lo spiega Enrico Papini, Direttore Struttura Complessa Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale.
“La maggioranza dei noduli sono di piccole dimensioni e nel 90-95% dei casi rimangono benigni. Negli ultimi anni, probabilmente grazie a la migliore sensibilita’ e il facile accesso ai moderni mezzi diagnostici, si e’ verificato un aumento dell’incidenza dei noduli tiroidei seguito da un parallelo aumento dei carcinomi tiroidei, seppure non associato ad un aumento del tasso di mortalita’. La cosiddetta “epidemia dei microcarcinomi”, tumori con diametro minore di 1 cm, se da un lato rappresenta un importante passo avanti nella prevenzione, pone dall’altro il dubbio se sia appropriato sottoporre pazienti a basso rischio allo stesso trattamento tradizionalmente riservato a neoplasie piu’ avanzate, esponendo i pazienti a possibili complicanze ed effetti indesiderati probabilmente non indispensabili”.
Delle novita’ su diagnosi, chirurgia e terapia dei tumori tiroidei si e’ discusso ad Ariccia al workshop “Thyroid UpToDate – Linee Guida e Pratica Clinica” promosso da Ame, Associazione Medici Endocrinologi e dall’Ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale. “Recenti studi propongono una strategia di sorveglianza attiva dei microcarcinomi della tiroide invece della chirurgia, con controlli ad esempio semestrali invece che annuali – continua Rinaldo Guglielmi, Past President AME -. Questa tesi e’ ulteriormente sostenuta da uno studio retrospettivo coreano recentemente pubblicato sull’European Journal of Endocrinology che ha coinvolto quasi 3.000 pazienti suddivisi in 3 gruppi a seconda del tempo passato tra il riscontro del nodulo e l’intervento chirurgico: entro 6 mesi, tra 6 e 12 mesi e oltre 12 mesi.”
“Non si sono rilevate differenze significative di risposta clinica nei 3 gruppi, in particolare risultavano liberi da malattia nel 74-78% e evidenza di malattia residua si e’ riscontrata solo nello 0,5-2% dei pazienti. Inoltre osservando i pazienti per un periodo mediano di 4,8 anni, la persistenza/recidiva di malattia e’ stata riscontrata in percentuali analoghe senza differenze statisticamente significative. I risultati di questo studio sembrano quindi indicare che una strategia di sorveglianza attiva con chirurgia ritardata non pregiudica il risultato clinico finale”.
“Questo tipo di approccio e’ sicuramente giustificato dal punto di vista clinico – commenta Papini -, ma pone il problema della comunicazione della diagnosi di cancro della tiroide ad un paziente non seguita dall’indicazione chirurgica che puo’ essere psicologicamente problematica e lascia il paziente “in sospeso”. A questo punto il problema va ricercato alla fonte: e’ giusto sottoporre il paziente ad ago aspirato su un piccolo nodulo?”
“Le ultime e piu’ autorevoli linee guida sui noduli tiroidei redatte in collaborazione da AME, American Association of Clinical Endocrinologists (AACE) e American College of Endocrinology (ACE) consigliano la sorveglianza attiva invece della biopsia in tutti i casi di noduli con diametro inferiore a 5 mm per il loro rischio clinico basso e nel caso dei noduli dai 5 ai 10 mm non consigliano di eseguire l’ago aspirato in assenza di ulteriori caratteristiche di aggressivita’ come ad esempio la presenza di linfonodi sospetti o storia familiare o personale di precedente cancro tiroideo. Si potra’ poi procedere all’esecuzione dell’ago aspirato in un secondo momento in caso di evoluzione clinica o aumento di dimensioni del nodulo”.